Pensieri



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venerdì 30 agosto 2013

Campobasso e l'epigrafe "dimenticata". L'iscrizione funebre C.I.L. IX. 2484, proveniente da Ferrazzano, attualmente esposta nell'androne dell'istituto tecnico per ragionieri.

Il Quotidiano del Molise
del 30 agosto 2013


di Paolo Giordano

 iscrizione funebre C.I.L. IX. 2484 
proveniente da Ferrazzano (CB). 
Foto di Stefano Vannozzi.
L’edificio dell’Istituto Tecnico Economico “Leopoldo Pilla” in via Vittorio Veneto ha ospitato in passato sia il Museo Provinciale Sannitico che la Biblioteca Albino. Le due storiche Istituzioni, fiori all’occhiello della Città, sono state poi opportunamente trasferite in sedi più consone. Il Museo dal 1995 è nel Palazzo Mazzarotta in via Chiarizia.
Nell’androne del “Ragioneria”, però, è rimasta un’epigrafe funeraria romana costituita da una grossa lastra calcarea rettangolare con un timpano sagomato. Quest’ultimo, con al centro una rosetta a quattro petali, è arricchito da acroteri angolari a palmetta. L’iscrizione incisavi è poco leggibile perché scalpellata (damnatio memoriae o semplice riutilizzo), ma è comunque stata ampiamente documentata nella bibliografia storica locale ed in molti testi archeologici. Qualche attivista politico vi ha lasciato una traccia del fermento ideologico che scosse gli anni di piombo.
Lo studioso Stefano Vannozzi, originario di Cercemaggiore e residente a Roma, nel suo blog “Longaest vita, si plena est”, richiama l’attenzione dei lettori su questo manufatto lanciando un appello il cui senso è: qualcuno è in grado di spiegare perché mai quel reperto sia ancora lì? Appartenendo esso alla collezione epigrafica del Museo Sannitico avrebbe dovuto seguirne le sorti!
Il suo rinvenimento, alla fine del XVII secolo nei pressi della chiesa di San Giacomo a Ferrazzano, attesterebbe l’ulteriore presenza di una “domus Neratiorum” in questa zona (dopo la nota villa di San Giuliano del Sannio) testimoniando l’influenza dell’importante e potente gens Neratia sull’entroterra dell’antico municipio sepinate.
Il testo, pubblicato nel volume IX del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL) con il numero 2484, è il seguente: A Constantius, fattore dei Neratii, a Potentius dispensiere dei Neratii, Pothus e Lathmus, al padre e al fratello (posero).
Una nostra, pur se minima, indagine (neanche nei cataloghi più recenti ve n’è menzione) non ha portato a nessun risultato concreto che ci permettesse di rispondere al Vannozzi. Quindi, anche per sensibilizzare l’attenzione degli appassionati, dobbiamo necessariamente associarci alla sua riflessione: la collocazione dell’iscrizione C.I.L. IX, 2484, è da ritenersi fuori contesto e di conseguenza l’epigrafe sembrerebbe esser stata letteralmente “dimenticata”.



giovedì 20 giugno 2013

La via Matris ancora chiusa spinge alla ricerca di percorsi alternativi per salire verso il Monforte. Una passeggiata tra Natura, Storia e...

Il Quotidiano del Molise
del 06 giugno 2013
di Paolo Giordano

Il progetto della via Matris a Campobasso ha come scopo principale quello di “riavvicinare” alla città la storica collina Monforte attraverso un recupero funzionale di quell’area. “L’idea era di soddisfare una domanda latente di servizi religiosi, sportivi, sociali, ricreativi e di godimento dei beni naturali.” (“liberare suggestioni” di Massimo Pillarella -“Polis”, 1997).
I cancelli ancora chiusi, per ragioni di sicurezza, del percorso cultural-cultuale che si inerpica dalle falde del Monte al Castello di Cola, non possono che riempire l’animo di tristezza! Ed allora viene spontanea la ricerca di altre vie che permettano la scalata del sito attraverso strade non “convenzionali”.
“L’interesse collettivo alla riqualificazione del centro storico rinvia alle istituzioni le iniziative non praticabili a scala individuale e tuttavia assolutamente necessarie, a partire dalla bonifica ambientale… in questa direzione si è posta la recente (primo lustro del nuovo secolo - ndr) iniziativa comunale di sgombero di discariche e contemporanea rivalutazione delle aree marginali confinanti con il territorio inedificato collinare lungo la via porta fredda” (“dinamiche e prospettive del centro storico” di M. L. Benevento- Campobasso Capoluogo del Molise, 2008).
E’ quindi da vico Portafreddo che si inizia l’ascesa alternativa ma (se il buongiorno si vede dal mattino) non lasciano presagire nulla di buono i cavi elettrici malamente appesi sulla targa segnaletica. 
D’improvviso una “visione”! Ad accogliere il viandante una recinzione in ferro, mattoni e pietra (la cui foto è anche nello scritto della Benevento), che sembra l’anticamera di un elegante percorso pedonale. L’adiacente scalinata del primo tratto, però, si restringe progressivamente, invasa dalle erbacce, fino a scomparire del tutto, trasformandosi in un viottolo. 
Dopo l’istintivo fastidio, provocato da una discarica di materiali vari, ci si tuffa nella Natura sotto lo sguardo incuriosito e sornione dei gatti in siesta con il sottofondo canoro degli uccelli. In lontananza il rumore ovattato della civiltà! Il sentiero, tornato “dignitoso”, continua suggestivo nel verde fino a ricongiungersi con le pertinenze a servizio sia di private abitazioni che di Palazzo Japoce (sede della Soprintendenza). 

Si sfocia, infine, dopo aver costeggiato i resti di antiche vestigia medioevali, al di sotto dell’acquedotto, dinanzi all’accesso carrabile dell’Istituto delle Immacolatine. Pur se alquanto breve “l’arrampicata” è indubbiamente piacevole ma, a differenza della via Matris, meno comoda e più selvaggia. Colle Sant’Antonio, quindi, già offre -e potrebbe ulteriormente offrire- la possibilità di realizzare molti itinerari ben diversi tra loro. Entrambi gli attuali, comunque, testimoniano un recente passato di fattiva attenzione, da parte del Pubblico, verso i luoghi “storici” del capoluogo, poi… l’oblio!
Gli unici a continuare indefessi il loro lavoro sono i grafomani, che non hanno esitato a firmare quel che resta di una torre nascosta tra la vegetazione.
Bisogna, pertanto, invocare una progettazione concreta: pare manchino i “fondi”, ma il sospetto è che ci sia parimenti carenza di idee e volontà.
Non resta che attendere tempi migliori, ed i conseguenti sviluppi, ad incominciare dalla riapertura della “via Matris”.


L’adiacente scalinata del primo si restringe
progressivamente, invasa dalle erbacce


l'immancabile "fastidiosa" discarica

 
 


il piacevole percorso nella Natura












 
I resti della cinta muraria medioevale
firmata dagli infaticabili grafomani



venerdì 14 giugno 2013

La Carità ai tempi della Guerra: un singolare episodio della vita di suor Brigida Postorino raffigurato in un quadro di Leo Paglione. L'opera è conservata nella Casa delle Figlie di Maria Immacolata a Campobasso.

Il Quotidiano del Molise
del 13 giugno 2013
di Paolo Giordano

Frascati bombardata
Il 22 gennaio 1944 Frascati fu pesantemente bombardata in “funzione” dello sbarco degli americani ad Anzio. Dopo mesi di cruenti scontri all’alba del 4 giugno 1944   l’avanguardia della fanteria americana arrivò in città. 
E’ in quei giorni che si verificò l’episodio magistralmente raffigurato da Leo Paglione in un suo quadro conservato nella Casa delle Figlie di Maria Immacolata di Campobasso, una delle tante opere importanti che la città nasconde e di cui pochi conoscono l’esistenza.
Infuriavano i combattimenti: fumo, polvere, spari, boati, urla, sirene! Qualcuno bussò disperato al portone del convento allarmando oltremodo le suore. L’ottantenne suor Brigida Maria Postorino invitò alla calma e mandò ad aprire. 
Erano due laceri e feriti soldati tedeschi, che si catapultarono all’interno della casa con le armi imbracciate. Si guardavano attorno impauriti come belve ferite… animali braccati e pericolosi. L’anziana Madre li scrutò con i suoi ancora brillanti occhi neri, intensi, da cui traspariva  tutta la sua personalità di donna volitiva, saggia e virtuosa. 
l'opera di Leo Paglione
La Fondatrice dell’Ordine, che dal 1943 si era ritirata nella casa Frascati, pur se abbondantemente minata nel fisico, li accolse amorevolmente invitandoli a sedere. 
I due, lentamente, si “spogliarono delle loro vesti da guerrieri” accasciandosi su delle sedie. Suor Brigida cerco di rifocillarli con il poco che disponeva. Non poté offrir loro che del vermouth e parole di conforto. Anche se nemici di guerra erano pur sempre due figli di Dio. Come suoi stessi figli li rinfrancò ed ammonì, pregando per loro e per la loro salvezza fisica e soprattutto spirituale. Le consorelle erano terrorizzate dalle eventuali conseguenze di quelle due presenze nel pieno della battaglia. Ma con amore e serenità la religiosa le tranquillizzò. 
Suor Brigida Postorino
Il suo coraggio e soprattutto la sua Fede, erano stati spesso dimostrati e messi a dura prova come nel 1934, quando subì un intervento chirurgico, affrontato per sua stessa volontà senza anestesia "per provare un po' i dolori di Gesù". Dopo aver ripreso fiato gli “ospiti” si ri-incamminarono verso il loro destino, portando nel cuore l’esempio di generosità e le sincere parole di quella mamma. 
Come tale, infatti, la Fondatrice dell’Istituto delle Figlie di Maria Immacolata aveva sempre percepito la sua missione. Favorendo un percorso di “ammodernamento” del clero soprattutto in quel meridione dove iniziò a “lavorare”. Infatti agli albori del novecento la forte operosità di queste suore fu indirizzata, oltre che alla cura delle anime, a lenire le piaghe che affliggevano il sud, in particolare l’analfabetizzazione e la povertà. Ed ancor oggi con immutato spirito continuano a rivolgersi al mondo intero preoccupandosi, come da sempre, anche dell’accoglienza di orfani e di emarginati.

lunedì 3 giugno 2013

Il Guerriero Sannita di Enzo Puchetti. Il monumento ai Caduti di Campobasso fu "smantellato" tra il 1942 ed il 1945, ma per alcuni anni sopravvissero le parti lapidee. Anche di esse si è persa memoria.

Il Quotidiano del Molise
del 02 giugno 2013


di Paolo Giordano

Il Sannita di Enzo Puchetti
La coincidenza tra Corpus Domini e “Festa della Repubblica” (2 giugno 2013) molto probabilmente eviterà che quest’anno si ripeta l’inopportuno spettacolo di bancarelle e stand gastronomici a ridosso del monumento ai caduti in piazza della Vittoria. Sarebbe quanto mai disdicevole se la parata delle autorità (per quanto oltremodo sobria a causa della “concomitanza”), con conseguente deposizione di corone floreali, dovesse scontrasi con l’aspetto prosaico di questi euforici giorni.
L’attuale Opera in ricordo dei Caduti è l’obelisco del ligure Luigi Venturini (anno 1956). Nell’immaginario collettivo, però, specialmente per i meno giovani, il vero Monumento è il guerriero Sannita del campobassano (di padre larinese) Enzo Puchetti. Ai posteri poco o nulla, purtroppo, ne resta: nessun “primo piano”, poche foto tra cui una alquanto particolare di Trombetta (archivi Alinari) “narrante” la fase di costruzione; esiste un suggestivo brevissimo filmato dell’Istituto Luce (visibile su “you tube”) in cui re Vittorio Emanuele viene accolto festante in Campobasso per l’inaugurazione ed infine l’inossidabile nostalgia di coloro che lo videro dominare, dalla fine del Corso, su tutta la zona murattiana.
Foto Chiodini
“Il monumento che nella sua parte principale è formato da due imponenti colonne, rappresentanti le date gloriose 1915-1918, è coronato da due grandi bronzee aquile: l’una volta ad occidente e l’altra ad oriente, che denotano la potenza e l’impero, pronte a spiccare il volo pel mondo, foriere dei magnifici destini d’Italia. Nel centro: un fiero guerriero sannita, simbolo della nostra regione del Molise, già culla dell’indomito popolo sannita che osò fino all’ultimo contendere a Roma la supremazia d’Italia. Ai due lati: fontane dal getto poderoso, ricordano le acque tinte da tanto sangue generoso, dell’Isonzo e del Piave.” Questa è l’entusiastica descrizione dell’arciprete Angelo Tirabasso, riportata nella pubblicazione “Campobasso onora i suoi caduti” (1931).
Il Sannita fu “smantellato fra il 1942 ed il 1945, non sappiamo se riciclato in occasione della raccolta del ferro e dell’oro per la guerra oppure buttato giù e fatto sparire in segno di disprezzo per le opere del regime.” (Napoleone Stelluti – Almanacco del Molise, 1991). Al legittimo dubbio sollevato dallo studioso di Larino aggiungiamo alcuni conseguenti spontanei quesiti: le aquile ne seguirono la sorte? E -soprattutto- quale è stato il destino delle colonne e delle due fontane che erano ancora in loco fino alla realizzazione del nuovo?
Meriterebbe produrre uno studio, dalla genesi alla rimozione, sulle vicende del guerriero di Puchetti, in un certo qual modo sminuito dal Re stesso che “avrebbe brontolato: non vestivano mica così i miei soldati!” (Venanzio Vigliardi – Trent’anni sotto il Monforte, 1982)
Certo non vengono in aiuto né la distruzione nel 1943 di tanto materiale, per lo più cartaceo, né la scarsa facilità (dicitur) di accesso agli archivi comunali. Determinanti, come sempre, saranno eventuali carteggi in possesso di privati!
"fermo immagine" dal filmato
dell' Istituto Luce
In Molise (in Italia?) erano solo due i monumenti raffiguranti un Sannita: quello di Pietrabbondante e quello di Campobasso. Molti manufatti non furono sfiorati dalle esigenze belliche e si salvò anche quello altomolisano, simbolo -fortemente amato- dell’identità di un Popolo. Come mai, invece, il nostro fu fagocitato dalla guerra? Viene da pensare che forse fu proprio la scelta (coraggiosa ed un po’ rivoluzionaria) di un tema così sfrontatamente anti-romano, in un epoca di retorica e fanatismo, a decretare da subito la condanna a morte di quel guerriero loricato con elmo, daga e scudo.
Ma la Storia è bizzarra e sorprendente, sempre pronta a stupirci. Per cui vogliamo credere che, prima o poi, salterà fuori un’informazione, o qualche indizio, determinati per le indagini sul capolavoro scomparso di Enzo Puchetti.


Le due Aquile : "fermo immagine"
 dal filmato dell' Istituto Luce



venerdì 31 maggio 2013

IL MISTERO DELLA STATUA RESTAURATA: La Madonna dei Monti (a Campobasso) nel vortice di amletici dubbi

Il Quotidiano del Molise
del 29 maggio 2013

di Paolo Giordano

Com'era
Quando il Nauclerio redasse “L’Apprezzo della terra di Campobasso” vide nella chiesa di Santa Maria Maggiore l’antica statua lignea della Madonna del Monti di stile bizantino.
Il Tarantino ipotizza che ne fu autore il beato Roberto da Salle, ma vi sono notevoli riserve su tale interpretazione.
Nel 1688 la Vergine era seduta con il bambinello nudo in braccio, che non si può dire con certezza se fosse in piedi o meno. Di sicuro le mani della Mamma era aperte e tese ai fianchi del pargoletto, come a proteggerlo. Padre Eduardo di Iorio, che ebbe modo di vedere (e fotografare pur senza mai divulgare le immagini) l’originale, durante una vestizione, racconta (attingendo copiosamente al Gasdia): “scolpita in un masso compatto di legno, essa non superava il metro di altezza e riusciva a grandezza naturale di una giovinetta non longilinea, perdendosi parte dello sviluppo del corpo nella posizione seduta. 
Era dipinta a colori, e gli occhi, grandi ed a mandorla, erano anch’essi dipinti. Il viso leggermente allungato, le guance rotondette, lo sguardo di una fissità un po’ fredda come le statue egizie e bizantine; la capigliatura, modellata nel legno, anch’essa era dipinta. Questa statua rappresentava la “theotòcos” o “deipara”, cioè la madre di Dio. Ma i tempi mutano.
com'è
Quel modesto (? - ndr) e pio simulacro venne svisato, per ammodernarlo. Agli occhi dipinti furono sostituiti occhi di cristallo; ai capelli scolpiti nel legno, furono sovrapposti capelli di fili di seta. Parimenti fu fatto del bambino, cui fu messa una vestina ricamata. La Madonna fu rivestita di stoffe ricamate in oro”.
Più crudo è il Gasdia: “si volle che la Madonna si levasse in piedi, e per ciò ottenere, con scarsa reverenza, le spezzarono con ascia e sega le ginocchia, diveltole prima dal grembo il Puttino: quindi spianarono già tutto, portando la parte inferiore del corpo alle proporzioni di poco più ingrossate del seno”
Insomma, senza voler sconvolgere le certezze, e la fede, dei Campobassani, il manufatto venerato in città è di relativamente recente fattura: i nostri antenati pregarono dinanzi ad una ben diversa immagine, forse del 1334, come si dovrebbe ancora leggere sul piedistallo di legno, dove è riportata anche la testimonianza di un’operazione di “recupero”: Ioseph Pecorari Restauravit A.D. 1824.
A creare vero turbamento, invece, è il dubbio che da alcuni anni serpeggia in Città: si sospetta che l’attuale statua sia totalmente nuova, “spacciata” per la vecchia restaurata.
Malgrado il popolo continui a mugugnare, dall’alto del Monte non è stata fornita alcuna prova concreta per tranquillizzare gli animi.
Agli studiosi, pur se credenti, nel loro “cinismo scientifico”, non dispiacerebbe poter vedere quel che resta della Madonna medioevale!
Ai devoti, di contro, darebbe pace allo spirito la possibilità di appurare che in Processione sia veramente la “loro Madonina” a sfilare.
Eppure, paradossalmente, nessuno dei due, ben distanti, schieramenti riesce ad appagare la propria curiosità.


Di seguito alcuni pregevoli esempi "molisani" di Madonne lignee.

Le immagini sono tratte dal volume "IL MOLISE MEDIOEVALE ARCHEOLOGIA ED ARTE" a cura di Carlo Ebanista e Alessio Monciatti  edito da "All'Insegna del Giglio".
L'occasione è quanto mai opportuna per diffondere la conoscenza di questo prezioso lavoro editoriale.



 "La Madonna
del Piede"
Cattedrale di Isernia
dal volume
"Molise Medioevale
Archeologia e Arte"

 "Madonna in trono
 col bambino"
 Isernia, San Francesco
dal volume
"Molise Medioevale
Archeologia e Arte"

 "Madonna in trono
 col bambino"
Agnone, San Marco
dal volume
"Molise Medioevale
Archeologia e Arte"
 "Madonna in trono
 col bambino"
 Roccavivara,
Santa Maria di Canneto
dal volume
"Molise Medioevale
Archeologia e Arte"

giovedì 30 maggio 2013

Le chiese di San Giorgio e San Leonardo in Campobasso: pietre e "frammenti" di altre storie leggibili sulla facciata delle chiese cittadine

il Quotidiano del Molise
del 21 maggio 2013

di Paolo Giordano

pietra lavorata
all'angolo di
San Leonardo
“E’ bello scoprire gli angoli nascosti della propria città”! 
Mai modo di dire ha avuto un significato così letterale, come questo, nel caso della chiesa di San Leonardo a Campobasso. Infatti in un angolo nascosto, a sinistra di chi guarda, è collocata, tristemente coperta da un tubo pluviale, una pietra lavorata. La forma, il disegno e le dimensioni lascerebbero intendere che essa sia il “davanzale” della monofora che caratterizza la facciata del luogo di culto.
Entrambe potrebbero da sempre appartenere all’edificio in questione ed esservi state ricollocate a seguito di crollo o demolizione. Oppure essere effetto di un “riciclo”, dopo la distruzione di una diversa struttura che le ospitava in origine. Quel che aumenta la curiosità è la loro somiglianza con l’agnello crocifero di San Giorgio. La decorazione floreale è molto simile ed è, pertanto, stimolante supporre che siano figlie della stessa mano.
A rafforzare l’ipotesi che tutti i manufatti possano provenire da uno stesso fabbricato c’è quanto asserito dal Gasdia relativamente alla “primaziale”: “Su la porta un timpano semicircolare, con il vuoto per collocarvi una lunetta scolpita, che nessuno vi pose fino al 1937 circa, quando il podestà Pistilli pensò di collocarvi quella lunetta che da secoli giaceva in terra, perché più grande dell’alloggiamento apprestatole nel timpano. Ma questa lunetta fu veramente scolpita originariamente per san Giorgio, o non proviene, piuttosto, dalla chiesa demolita di san Michele Arcangelo o, meglio ancora, da quella di Santa Croce de Baptente?”
fotografia Chiodini  da "Campobasso
capoluogo del Molise" (ed. Palladino)
In una fotografia Chiodini, pubblicata nel primo volume “Campobasso Capoluogo del Molise”, è chiaramente visibile la lunetta scolpita adagiata, prima della sua collocazione, contro il muro della chiesa.
Indubbiamente l’antico monumento romanico, dedicato al Megalomartire, ha come suo “biglietto da visita” proprio quel bassorilievo. 
Destabilizza -quindi- pensare che gli antenati conobbero (ovviamente) un’altra Città e ciò che noi moderni riteniamo verità assolute sono solo un “momento” nella Storia dell’uomo. 
Tutto cambia costantemente, nulla vi è di immutabile, ma purtroppo la convinzione (presunzione o paura della Fine?) di essere padroni del tempo ci rende sordi, ciechi e pigri.
Sordi perché ci rifiutiamo di ascoltare quello che Campobasso ha da raccontarci; ciechi perché evitiamo di vedere quanto la stiamo abbruttendo; pigri perché non sempre tuteliamo, come dovremmo, le poche (ma non scarse) Bellezze, valorizzandone le preziose risorse storico-culturali.

monofora della chiesa di San Leonardo
lunetta della Chiesa di San Giorgio



martedì 14 maggio 2013

L'ambasciatore del Canada James Fox assapora (in visita privata) le bellezze di Campobasso, città ricca di storia ed arte.


Il Quotidiano del Molise
del 09 maggio 2013


di Paolo Giordano

L’antefatto è la partenza da Casalciprano di una numerosa famiglia con sette figli, emigrata per necessità in Canada. Uno di quei bimbi è oggi il colonnello Tony Battista, addetto per la difesa canadese, profondamente innamorato della sua terra natale.
Il 6 maggio 2013 l’ambasciatore del Canada presso la Repubblica Italiana è giunto a Campobasso in forma ufficiale, incontrando tutte le autorità locali (Prefetto, Presidente della Regione, Sindaco, ecc.).
Conclusa la fase istituzionale James Fox ha visitato “privatamente” Campobasso, coinvolto dall’entusiasmo del colonnello Battista suo accompagnatore, che in una precedente sosta nel capoluogo, dopo aver ammirato il Castello Monforte, è entrato in contatto con la CoMolTur. Pertanto, per l’interessamento del direttore Guido Amatucci e dell’addetto alla Promozione, Nicola Sgobbo, è stato pianificato un breve, ma essenziale, itinerario turistico con l’ausilio di qualificate personalità.
Battista, Sgobbo, Fox e Felice
L’Ambasciatore ha iniziato dai luoghi (Piazza Pepe) che videro protagoniste le truppe canadesi nell’ottobre 1943. Ad illustrare quegli eventi Nicola Felice, storico e ricercatore, autore del libro “quando Campobasso divenne Canada town”. Imprescindibile la foto di gruppo sotto l’ultima testimonianza: la sempre più sbiadita scritta “Scarth street”.
A seguire una veloce, ma intensa, visita al Museo Sannitico, dove ad accogliere la piccola comitiva c’erano il soprintendente Ferrara e l’archeologa Ceglia. Quest’ultima ha illustrato i vari reperti, rispondendo alle serrate ed interessate domande degli ospiti, attratti ed affascinati dal mondo degli antichi. Il diplomatico, residente nella Capitale, non poteva che essere oltremodo curioso di conoscere i Sanniti, coloro che avevano umiliato gli orgogliosi romani.

Il soprintendente Ferrara
e l'ambasciatore Fox
“L’assaggio” turistico della nostra città (i tempi ristretti hanno indotto a rimandare ad una prossimo futuro altri siti, come Palazzo Pistilli o le due antiche chiese romaniche) si è doverosamente concluso al Sacrario del Castello. Qui l’ambasciatore Fox ha amabilmente conversato con l’avvocato Alberto Pistilli Sipio (indiscussa memoria storica cittadina), testimone oculare dell’ingresso dei canadesi nell’oramai lontano 1943 (quest’anno ricorre il 70° Anniversario).
L'avv.Alberto  Pistilli Sipio
e l'Ambasciatore
 Non ci si è limitati al racconto di restauro e recupero del maniero: il dialogo ha abbracciato i più svariati argomenti, ammirando i cimeli esposti nel vestibolo. Al centro dell’attenzione generale, comunque, la memoria dei caduti di tutte le guerre, alcuni dei quali (i “nostri”) inumati nella sala del Monumento Nazionale.
Importante la presenza di Antonio D’Ambrosio il cui padre, Giovanni, è l’ultimo defunto ivi traslato, nel 2006 dalla Polonia. Egli, presidente dell’Associazione del Fante, è il trade union tra le generazioni che combatterono e le successive che ricostruirono l’Italia.
la visita al Sacrario

James Fox ha deposto una corona floreale all’Altare del Sacrario, soffermandosi in silenziosa meditazione unitamente al colonnello Battista ed a tutti i presenti. Dopo il sincero e toccante (proprio perché intimo e privato) momento ha firmato il registro per “eternare” questa giornata.
Gli uomini della scorta, mentre Fox era nel Santuario della Madonna del Monte, si sono dovuti accollare il peso della piccola indispensabile biblioteca di cui è stato omaggiato: la trilogia delle opere di Nicola Felice (il Sacrario, Canada Town, la bonifica dei campi minati), alcuni libri ricchi di immagini e DVD sul Molise, la monografia su Michele Greco da Valona, quella sul castello di Gambatesa ed una copia dei pannelli esposti nell’Atrio del Monforte. “Da parte canadese”, invece, quale segno di stima ed amicizia sono stati donati ad ognuno una spilla, con le bandiere dei due Paesi incrociate tra loro, ed una medaglia ricordo.
Il colonnello Battista, costantemente in Molise, ha salutato con un “arrivederci a Corpus Domini”. L’Ambasciatore, dal canto suo, ha lasciato intendere che tornerà nella nostra Terra, principalmente per concretizzare programmi di sviluppo italo-canadesi, ma anche per visitare e scoprire più a fondo questa piccola ed imprevedibile Regione.


L'Ambasciatore depone una corona
all'altare del Sacrario


  


La firma del registro delle visite

 
Il momento di meditazione


I cinque euro in argento dedicati alla città di Campobasso: il Castello Monforte e la chiesa di San Giorgio impressi sulla moneta

Il Quotidiano del Molise
del 01 maggio 2013

di Paolo Giordano


A fine 2012 (4 dicembre) è stata emessa una moneta da 5 euro in argento coniata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in applicazione del decreto n° 55077 del 04/07/12 (Ministero Economia e Finanze). L’opera è celebrativa dell’ “Italia delle Arti” ed è dedicata a Campobasso.
Dalle note illustrative allegate alla pregevole opera si apprende che nella nostra città, il terzo capoluogo sul livello del mare, si possono ammirare meravigliose chiese, superbi palazzi storici, torri fortificate e cinte murarie con severe architetture militari, caratterizzanti la parte alta della Città Antica.
Proprio due delle più importanti testimonianze del glorioso passato civico sono state incise sulla moneta dall’abile mano della medaglista Claudia Momoni, “madre” anche della Venere di Botticelli  presente sui dieci centesimi.

Sul “Dritto”, in primo piano, la raffigurazione del Castello Monforte, in giro la scritta “Repubblica Italiana”.
Sul “rovescio” la lunetta del portale della Chiesa di San Giorgio, ornata da foglie, grappoli d’uva ed altri elementi floreali, con al centro l’agnello mistico.
Alla base la scritta “Campobasso”, il valore ed il nome dell’autrice. In alto, ad arco, la scritta “L’Italia delle Arti 2012”.
La moneta, del peso di 18 grammi, ha un diametro di 32 millimetri. La sua tiratura è limitata: 7.000 pezzi, ognuno dei quali ha il prezzo di emissione di 55 euro.
Sono già tanti ad aver acquistato il piccolo capolavoro come ricordo
personale o per farne un gradito dono, attraverso il quale propagandare le bellezze artistiche di Campobasso.
C’è, invece, chi ha pensato di omaggiarne le nuove generazioni, figli e nipoti, quasi a voler lasciar loro in eredità una parte della nostra Storia Patria, da portare con sé, al pari di una reliquia, nella vita futura.
Ma ad acquisire i 5 euro in argento non sono stati, ovviamente e per fortuna, solo Molisani. Tanti gli appassionati di numismatica, di ogni parte del mondo, ad aver inserito nelle loro collezioni questa “minuscola parte d’Italia”.
La tiratura, quindi, risulta veramente limitata: non ci vorrà molto perché i 7000 esemplari vengano tutti venduti.

Antonio Pettinicchi, lui è il Molise. Omaggio all'artista

Il Quotidiano del Molise
del 09 maggio 2013

di Paolo Giordano

Autoritratto
E’ oramai prossima alla conclusione (11/05/2013) la mostra “Antonio Pettinicchi – lui è il Molise” allestita nella Galleria Artes di Campobasso; curatori Silvia Valente e Tommaso Evangelista.
L’evento, che ha riscosso notevole successo di pubblico e critica, è un doveroso omaggio ad un indiscusso genio creativo rivelatosi fondamentale per la città di Campobasso, avendo tracciato una strada maestra percorsa dalla maggior parte delle successive generazioni di artisti. Come insegnate, poi, ha coinvolto ed appassionato centinaia di studenti e discepoli. Infine (con Marotta e Pace) ha per lungo tempo assolto il compito di accreditare “all’esterno” l’esistenza di una cultura artistica regionale.
Negli spazi di viale Elena sono state esposte sia incisioni (in un’affascinante retrospettiva) che dipinti (gli ultimi anni fino al “conclusivo” 2009). Le prime, selezionate da una produzione incisoria tra le più prolifiche della seconda metà del novecento (circa 600 lastre), abbracciano il vasto periodo dal 1949, anno dell’esordio, al 1995.
Pettinicchi, allievo di Lino Bianchi Barriviera, uno dei più grandi maestri del secolo, con questa tecnica ha ottenuto le maggiori soddisfazioni professionali, partecipando ad importanti manifestazioni sia nazionali che europee.
Temi ricorrenti sono la sua terra, quindi il mondo dei contadini contraddistinto dal proprio bagaglio di miseria, sofferenza, fatica… e dignità. Anche nella produzione pittorica si ritrovano gli stessi argomenti a lui tanto cari, ma è possibile ammirare addirittura una “crocifissione”.
Crocifissione
Autentica rarità essendo pochissime le opere di arte sacra, di cui è estremamente geloso e tutt’altro che incline a condividere con il pubblico.
La sua complessa formazione di pittore cominciò quale allievo di Amedeo Trivisonno che, avendolo alunno al Magistrale, ne scoprì le doti incoraggiandolo: “tu in questa scuola non ci devi stare, devi fare l’artista!” Dopo l’esordio come “figurativo” sviluppò in maniera precisa e marcata il suo “segno” per merito di Emilio Notte (di formazione futurista), il più importante artista napoletano del dopoguerra). In seguito pur rimanendo nell’ambito della figurazione, con il tempo, riuscì a “trasformare la figura umana”. E’ questa la sua caratteristica principale: grazie al pennello ed ai colori mostrare contemporaneamente l’esterno (sembianze fisiche) e l’interno (realtà interiore) dei soggetti raffigurati. Necessarie ovviamente una valida conoscenza dell’anatomia nonché una sconvolgente capacità di scavare nel profondo dell’Animo.
La storia artistica ed umana di Antonio Pettinicchi, che sarà possibile “indagare” con una monografia di prossima pubblicazione (Regia Edizioni), permette di scoprire un Molise culturalmente vivo, attraversato e scosso da accesi dibattiti artistici, oggi impensabili nel guardare l’attuale sonnacchiosa realtà. All’epoca si era al passo con l’andamento dell’Arte in quegli anni: sperimentazione e ricerca erano le stesse sia in provincia che nel resto della nazione. Non emulazione, bensì un’empatia che permise alla nostra Terra di essere “trasportata” sulle tele con uno stile inconfutabilmente “contemporaneo”. A testimonianza di quei fermenti, all’interno della mostra, un asterisco dedicato al celebre “Gruppo 70” (Pettinicchi, Massa, Mastropaolo e Genua).
Vasta ed incontenibile, insomma, risulta la personalità del Maestro. L’unico ad essere riuscito nell’impossibile sintesi della sua Arte è stato Armando De Stefano, compagno d’accademia ed amico personale: “Pettinicchi ha la sua terra nel sangue, nel pennello, nel colore e, cosa più vera, esprime il dolore del suo popolo con un disegno forte e netto, da pittore autentico che si identifica col prossimo. Lui è una natura via, lui è il Molise”.

Ritorno da Codacchio


Autoritratto
sulla destra
il Municipio di Campobasso

Autoritratto
(particolare)