Pensieri



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sabato 23 giugno 2012

Fiorentina Cirelli. Una restauratrice non crea... recupera l'arte. Breve intervista alla titolare della "PF Restauri"

Il Quotidiano del Molise
 del 22 settembre 2010

di Paolo Giordano

Fiorentina Cirelli al lavoro

Fiorentina Cirelli è un’esperta restauratrice e, pur se l’anagrafe non lo  testimonia, ha quasi 30 anni di attività sulle spalle. Ha familiarità con i più svariati materiali e conosce tecniche vecchie e nuove per recuperare le opere d’arte. Entrare nel suo laboratorio è come partecipare alle rievocazioni di antichi mestieri, ma qui tutto è oltremodo contemporaneo. Il suo lavoro resta obbligatoriamente un’attività artigianale, poiché la manualità non può in alcun modo essere sostituita dall’uso di macchine. Le è compagno d’avventura il marito Pietro, anch’egli restauratore, con cui regolarmente condivide oneri ed onori.

Il mondo del restauro è pura vocazione oppure è accessibile a tutti?

Sicuramente si tratta di una vera e propria vocazione. Bisogna considerare che sempre più nuove tecnologie supportano e qualificano il nostro lavoro, ma è innegabile che passione, sensibilità e pazienza certosina siano doti indispensabili. Poi vengono lo studio, la conoscenza di tecniche, di stili, nonché il costante aggiornamento. Necessita, inoltre, una naturale propensione all’arte. Non siamo artisti, poiché non creiamo, ma dobbiamo ragionare come se lo fossimo. Calandoci nel contesto storico in cui un’opera è stata realizzata per comprenderne, quanto più possibile, l’ispirazione dell’autore. Tutto ciò serve per intraprendere questa professione.

Il patrimonio artistico molisano non è povero come si crede. Tra le ricchezze della nostra terra lei ha curato un illustre malato:  l’ottecentesca scultura di San Giorgio realizzata da Emilio Labbate per la Chiesa Patronale di Campobasso.

Ci siamo trovati dinanzi  al gruppo equestre più imponente sul territorio regionale: largo 78 cm ed alto e lungo 2 metri. Già dal trasporto sono apparse le prime difficoltà! Il cavallo è composto da più pezzi uniti con grossi chiodi. Presentava importanti problemi di conservazione: mutilo in più punti ed attaccato dai tarli con conseguente cattiva coesione delle parti. Molti erano i danni da atti vandalici. Una volta disinfestato e consolidato con resine abbiamo ricostruito particolari come gli occhi, utilizzando le tecniche dell’epoca. Infine, riportata alla luce la policromia originale, coperta da sporco e numerosi strati di ridipinture, ci siamo concentrati su  come restituire un’uniformità di visione cromatica. Il risultato finale è stato entusiasmante! L’unico cruccio è il non sapere dove sia finita la testa del drago che manca del tutto.

La costante riduzione di finanziamenti ha progressivamente diminuito le commesse pubbliche, per cui è divenuta determinante la committenza privata. C’è in Molise una cultura del restauro? Come stima il patrimonio su cui è urgente intervenire?

Qui da noi non si è ancora sviluppata una cultura del restauro. Altrove enti, banche, privati, associazioni e fondazioni finanziano gli interventi. In Molise il fenomeno è circoscritto ad alcune chiese in cui i parrocchiani si fanno carico di recuperare le statue dei loro  Santi protettori. È determinante il forte coinvolgimento emotivo. Manca invece una diffusa coscienza sociale, che porti al recupero di reperti importanti per tutta la collettività,  come ad esempio gli arredi tombali, che sono determinanti per lo studio dell’evoluzione dei popoli. Il nostro territorio dispone di un vastissimo patrimonio sepolto che attende di venire alla luce. Comunque, tanto della ricchezza di questa piccola terra è proprio sotto i nostri occhi: palazzi e chiese dalle belle architetture, che versano purtroppo in precarie condizioni;  statue e dipinti di gran valore artistico, abbandonati a se stessi. Molto è chiuso per motivi di sicurezza e troppi sono i cantieri, e le aree di scavo, che procedono a fatica per mancanza di fondi. Sarebbe bello se dei mecenati,  consegnassero il proprio nome ai posteri, sponsorizzando il restauro di monumenti da loro “adottati”  proporzionalmente alle disponibilità economiche.

“Nessuno accende una lucerna e la mette in luogo nascosto o sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché quanti entrano vedano la luce” Cosa prova quando oggetti preziosi, tornati all’originario splendore, vengono chiusi in un deposito o in cassaforte?

L’ultimazione di un restauro genera sempre una grande emozione. Il desiderio è quello di riuscire a trasmettere e, quindi, condividere questo stato d’animo. La conclusione di un lavoro dovrebbe essere il primo passo verso la giusta valorizzazione del reperto. E’ innegabile un profondo “dolore” quando un’opera non viene opportunamente valorizzata all’interno di idonee strutture. Erroneamente, però, si genera l’ingiusta polemica verso gli organi preposti che, non potendo esporre i “tesori” al pubblico, sono costretti a tenerli “nascosti” per tutelarli e proteggerli. Il vero problema è la carenza di musei e pinacoteche. La speranza è che le varie amministrazioni studino sinergicamente dei progetti, come ad esempio la ristrutturazione di storici palazzi abbandonati, al fine di consegnare alla comunità degli spazi espositivi. Anche enti o privati, in possesso di edifici in disuso, potrebbero farne dono per tale scopo. Insomma si è da tempo conclusa l’epoca in cui solo il Pubblico si faceva carico dei beni artistici, architettonici ed archeologici. Oggi tutta la società deve sentirsi coinvolta  nella tutela dell’inestimabile patrimonio di cui l’Italia dispone.


Via Orefici a Campobasso, "laboratori aperti" per le Giornate del Patrimonio (settembre 2010). Una passeggiata nel regno di Fiorentina Cirelli

Il Quotidiano del Molise
del 22 settembre 2010
di Paolo Giordano

Il 25 e 26 settembre, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio sono previste diverse manifestazioni di alto profilo culturale tra cui “laboratori aperti”. L’evento “Statue lignee in Basso Molise” si svolgerà a Campobasso. E’ nell’accogliente laboratorio di Fiorentina Cirelli, in via Orefici, che il Ministero ha gratuitamente organizzato questo itinerario per conoscere da vicino, durante i lavori di restauro, tre sculture esposte per la prima (e forse unica) volta insieme.
Da San Giuliano di Puglia un austero Sant’Antonio Abate coperto da un ampio mantello nero su cui spicca un tau rosso. Stringe nella mano destra un bastone anch’esso con la forma di questo simbolo della Salvezza. Sul libro della regola monastica, che regge con la mano sinistra, è evidente dove fosse -l’oramai perduta- fiamma/Spirito Santo, segno tangibile sia delle azioni compiute nella lotta contro il male e sia delle guarigioni dalle malattie dell’ergotismo. Dalla base di questa statua del 1778, opera di Giovannitti da Oratino, è scomparso il maiale/diavolo, che dopo essere stato sconfitto, seguiva docilmente l’Abate. Gli Ospedalieri di Sant’Antonio avevano il privilegio di allevare suini per nutrire gli ammalati e curarne con il grasso l’herpes zoster.
Fiorentina Cirelli
 ed il San Giovanni
del Colombo
Da Colletorto l’imponente San Giovanni Battista “vestito di peli di cammello”. La scultura del XVIII secolo, in grandezza naturale (misura 1,90 mt), è attribuita alla maestria di Giacomo Colombo. Il  manto che avvolge il Precursore di Gesù è rosso per ricordarne il martirio. Sono presenti la croce e l’agnello, attributi iconografici di valenza cristologia. Il braccio destro è alzato con il dito elevato ad indicare l’Incarnazione del Figlio di Dio. Partendo dall’osservazione della mano, scolpita con minuziosa cura, si procede nell’apprezzare la qualità di tutta la realizzazione.
Dalla chiesa di San Rocco in Montelongo la Madonna dell’Incoronata di Foggia. La Vergine è in trono su una quercia, emblema della forza vitale e rigeneratrice della natura. Due angeli le reggono la corona indice di regalità. Dopo la rimozione di uno strato di vernice il manufatto è apparso di fattura migliore di quel che sembrasse. L’incarnato non è chiaro, ma timidamente scuro. Infatti l’immagine venerata a Foggia, sia per un dato etnico (Maria era palestinese) e sia perché rievoca la Dea Madre o Cibele, riassorbita dal Cristianesimo, è una “Madonna nera”.
L’appuntamento previsto per la fine di settembre è ambientato in uno spazio suggestivo, pur se ridotto, nel centro storico cittadino. Il visitatore sarà a diretto contatto con i “ferri del mestiere”, aggirandosi tra Madonne, Angeli, Santi e testimonianze fotografiche dei tanti lavori conclusi. Potrà studiare da vicino le tre opere e dialogare con i restauratori che hanno “curato” reperti di grande importanza come la Maschera Sannita di Longano. Ma sono tantissimi gli oggetti d’arte passati in questa bottega e che oggi, riportati a nuova vita, possono essere ammirati nei musei, nelle chiese o nei prestigiosi palazzi di provenienza.
Fiore, come la chiamano in famiglia, sorride quando le si domanda se teme un aumento della concorrenza, sull’onda dell’entusiasmo che nascerà durante le visite. “E’ un lavoro difficile e faticoso. La passione non basta se non è accompagnata da studio e continua formazione. Ci vogliono pazienza e perseveranza. Insomma non è questa la strada per la ricchezza, ma certamente è quella per l’arricchimento interiore e per notevoli soddisfazioni professionali.”

Il Laboratorio di Via Orefici

 Breve "storia" dell'incoronata di Foggia
Strèccècapp e l'Incoronata

Tutti coloro che affrontavano le incognite del lungo cammino della transumanza, prima di partire, si affidavano al santo Patrono del loro paese praticando 40 ore di penitenza. Era d’obbligo, però, prima del viaggio di ritorno, recarsi in pellegrinaggio presso  il Santuario della Madonna Incoronata di Foggia, protettrice dei pastori e delle greggi.
La tradizione risale all’ultimo sabato di aprile del 1001. All’alba, nei pressi del torrente Cervaro che costeggia l’omonimo bosco alle porte di Foggia, la Vergine apparve tra i rami di una quercia al conte di Ariano Irpino. Invitò il nobiluomo a costruire una chiesa in cui venerare un’immagine, probabilmente l’icona bizantina di una Madonna dal volto nero, che era stata ritrovata in quello stesso giorno.
Subito dopo sopraggiunse, pascolando i suoi buoi, un contadino-pastore di nome Strezzacappa (Strèccècapp) il quale appese la sua cardarella all’albero e, riempitala d’olio, la trasformò in una rustica lampada. L’umile agricoltore, poi, si inginocchiò per pregare.
Da allora fino ad oggi, lungo tutto il percorso tratturale è stato un  proliferare di luoghi di culto dedicati all’Incoronata. Ma il fulcro di questa devozione mariana resta il Santurario alle porte del capoluogo dauno, dove l’ultimo sabato di aprile si festeggia con gran solennità il ricordo della miracolosa apparizione.


venerdì 22 giugno 2012

Mephitis venerata nel Sannio, declassata dai romani.


Il Quotidiano del Molise
del 13/02/2011



di Paolo Giordano

Una conoscenza superficiale e manualistica porta a credere che le culture antiche fossero totalmente maschiliste e misogine. Ma desiderio di sapere ed amor patrio dovrebbero spingere i discendenti dei fieri sanniti a meglio indagare la propria Storia. Un importante Dea, venerata nel Sannio, era Mephitis, che una volta assorbita dal Pantheon romano venne tristemente ridotta a presiedere alle emanazioni solforose molto abbondanti in Italia. Associata, pertanto, all’odore emanato dalle mofete (emissione diretta di anidride carbonica da fratture del terreno) dal suo nome deriva il termine “mefitico”.
Ma in realtà Mefite significa “colei che sta nel mezzo” ed aveva il potere di fare da tramite, cioè da mediatrice. Divinità pacifica, in un’epoca difficile di violenze e guerre, sovrintendeva al “passaggio”: vita/morte, giorno/notte, caldo/freddo, regno dei vivi/oltretomba. Le sue corrispondenti nel mondo greco potrebbero essere Afrodite, Demetra e Persefone. Non a caso in epoca romana, a seguito di un’operazione di “riconversione”, molti templi agresti furono consacrati a Venere ed a Diana. Mefitis era protettrice delle sorgenti, degli armenti, dei campi e della fecondità. A lei erano affidati i mercati e lo scambio. Proprio nei Santuari, luoghi di incontro e mediazione, si generava la perfetta armonia tra venerazione e commercio. Il suo culto andò evolvendosi collegandola all’utilizzo delle acque termali e solforose ed alle loro proprietà benefiche e curative.
E’ attualmente in fase di indagine il rapporto con il mondo della transumanza, non essendo trascurabile un legame tra gli spostamenti delle greggi nei pascoli stagionali e la presenza di aree sacre dedicate alla Dea proprio ridosso dei tratturi.
Uno dei tanti Santuari a lei dedicati, che merita una particolare attenzione, è quello di San Pietro di Cantoni in agro di Sepino. Qui è stata rinvenuta la statuina ex voto in bronzo di un’affascinante giovane donna con in mano un uccello acquatico migrante. L’animale è simbolo dell’alternarsi delle stagioni. E’ riferimento ad una vicina zona umida e, di conseguenza, alle sorgenti simbolo della forza dell’acqua che sgorga dalla terra passando all’aria: ancora un “passaggio” sotto l’occhio amorevole della dea. Tutti i reperti di questo scavo, testimonianze del mondo agricolo e della transumanza, riconducono alla protettrice dell’universo femminile che presenziava alla vita dalla fecondazione al parto. Mefite assisteva la donna nelle attività quotidiane, proteggendo i suoi familiari nonché il lavoro necessario al sostentamento della famiglia e, quindi, dell’intera società.

Chiara Mastropietro volontaria della dea Mefite. Storia di una novella Schliemann presso gli scavi archeologici del santuario italico di San Pietro di Cantoni in agro di Sepino (CB).


Il Quotidiano del Molise
del 13 febbraio 2011

di Paolo Giordano

Chiara Mastropietro
In Molise operano dei novelli Schliemann che, pur sperando in uno sbocco occupazionale, lavorano “gratis et amore dei” presso gli scavi archeologici del santuario italico di San Pietro di Cantoni in agro di Sepino. Un’area sacra recinta di mura megalitiche a quasi 700 mt sul livello del mare, ubicata tra l’insediamento difensivo di Terravecchia e l’area di mercato e produzione di Altilia. La notizia, già nota agli addetti del settore, è stata raccontata in un ampio articolo di Feole pubblicato da ”il Quotidiano” il 09 agosto 2010: I Volontari della dea Mefite”. Subito è nata, alimentandosi progressivamente, una curiosità: che faccia avranno i volontari della dea?”
Chiara Mastropietro è una di loro, poco più che ventenne, ben lontana dallo stereotipo della studiosa. E’ un’esile e bella ragazza figlia della sua epoca, che segue la moda e non sembra assolutamente un topo di biblioteca. Dopo la prima domanda scruta l’interlocutore con i suoi occhi chiari. L’iniziale apparente imbarazzo è scomparso ed ora è lei, con il suo sguardo deciso, a gestire l’intervista.


articolo di
Leopoldo Feole
del 09/08/2010
Come ti sei ritrovata a vivere questa avventura dall'innegabile gusto romantico?
La vita è un susseguirsi di coincidenze! Da sempre sono stata attratta ed affascinata sia dall’archeologia che dal restauro. Ho una grande passione per il mondo dell’arte ed ho cercato di “qualificarmi” anche con studi appropriati. Ho avuto la fortuna di conoscere il professor Maurizio Matteini Chiari, responsabile scientifico dello scavo in questione, che mi ha subito”arruolata”. Oramai da sei anni sono l’unica costantemente presente in questo cantiere.
Certamente mi ha emotivamente coinvolto il culto qui praticato: una divinità femminile che tutelava la maternità e gli affetti domestici… dunque la fertilità. Tutto ciò in una lontana epoca di violenze e brutalità
Durante la campagna di scavo c’è stato qualche rinvenimento o scoperta che ti ha suscitato particolari emozioni?
una sepoltura
Devo sfatare l’idea diffusa dei reperti che saltano fuori belli, sani e lucenti! Si scava tanto prima di rinvenire qualcosa. Agli inizi non si riesce a distinguere cosa ci sia nella terra. Alla lunga poi ci si “fa l’occhio” per cui tra chiodi, monetine e pezzi di ceramica solo l’esperienza permette di identificare frammenti importanti. Il mio ricordo è legato al primo ritrovamento personale. Eravamo in tre su un “quadrato” (lo scavo è suddiviso in un reticolato di quadrati 4 mt x 4 mt) ed è apparsa la foderatura in pietra e laterizi della tomba di un uomo. Essa era priva di arredi ed è attualmente in fase di studio.
Chi è peggior nemico di questo importante sito archeologico: il saccheggio dei tombaroli o il disinteresse degli organi competenti?
I tombaroli di certo! Il danno non è solo la sottrazione di oggetti ma come essa avviene. Noi scaviamo per strati. Appena cambia la tipologia del terreno ci fermiamo per effettuare rilievi tecnici e fotografie, stilando le opportune relazioni. I tombaroli arrivano armati di metal detector, scavano, distruggono, “schifano” (quasi prendendoci in giro) chiodi, pezzi di bronzo ed ogni altro pezzo di metallo inutile e rubano tutto quel che possono. Il nostro lavoro viene di fatto rallentato perché dobbiamo ripristinare lo status quo. Una volta hanno divelto il lastricato del Podio arrecando danno e perdita di tempo, quindi di risorse economiche. Certo… se gli organi competenti si preoccupassero di prevenire….
Che percezione hanno i tuoi amici e coetanei di questo tuo "impegno”?
Quasi tutti, in prima battuta, chiedono “chi me lo faccia fare” a stare ore ed ore sotto ad un sole impietoso frugando nella terra. Io, poi, offro il fianco quando trasporto nella quotidianità l’esperienza di “volontaria”. Ad esempio mi è capitato, tra l’ilarità generale, di fissare un muro qualunque alla ricerca dei punti opportuni per i rilievi, come se fossi sullo scavo. Però, in fondo, sono affascinati sia dalla mia attività e sia dall’alone di mistero che avvolge il Santuario. Il punto zero (il più alto) è a quasi 666 mt sul livello del mare. Numero che tradizionalmente si associa al demonio (nell’Apocalisse sarebbe un riferimento all’imperatore Nerone). Poi c’è il “muro del sonno”. Una struttura a nord del Podio, dove chi lavora è vittima di crisi di sonno. E’ accaduto anche a me, sia da sola che con un’amica. Ci aggiravamo fresche e pimpanti per tutta l’area, ma quando ci accostavamo al muro del sonno…
Quale futuro professionale pensi ci possa essere, in Molise o altrove, per “i volontari della dea Mefite”? E comunque come speri di non vanificare questa tua esperienza?
Nell’immediato sembrerebbe nessuno! Personalmente, però, sono tanto “cresciuta”: turni, orari, fatica, vita “comunitaria” con autogestione (gli addetti alloggiano nell’area archeologica di Altilia). Si impara a condividere ed a convivere. Comunque stiamo acquistando una specifica professionalità che teoricamente potrebbe aprire molte prospettive. Bisognerà vedere “dove andrà il mondo”. Io credo fermamente che ognuno di noi riuscirà a fare tesoro di quanto vissuto in questi anni.
Rivolgi un appello in difesa delle sorti di San Pietro di Cantoni, lanciando una tua proposta di tutela e valorizzazione!
Il minimo indispensabile è l’istallazione di telecamere e sistemi di allarme. Una recinzione sarebbe più che necessaria, ma mancano i fondi. Con il materiale rinvenuto, molto di inestimabile valore, si potrebbe allestire un museo stabilmente aperto. Certo ogni iniziativa dovrebbe essere frutto di un’interazione almeno tra Regione, Provincia, Ministero e comune di Sepino. L’ubicazione del Sito è strategica sull’arteria di collegamento Roma-Foggia. Si potrebbe creare un indotto per gli artigiani con la riproduzione dei tanti meravigliosi monili rinvenuti e per i ristoratori con “menù sanniti” studiati ad hoc.
Ma tante attività potrebbero sorgere grazie ad un progetto turistico-culturale che colleghi -per iniziare- San Pietro, Altilia e Boiano. Già sarebbe una eccellente base di partenza! Essenziale è il confronto con altre regioni dove ci sono paesini che creano quasi dal nulla incredibili attrazioni per i turisti.
Ma forse sono troppo giovane e per questo entusiasticamente incline a “mandare la fantasia al potere!”


 foto del "cantiere"







lunedì 18 giugno 2012

L'ardire e la passione di due collezionisti rende la città di Campobasso ricca d'arte. Un'accurata selezione di opere delle collezioni Praitano ed Eliseo esposta in Palazzo Pistilli


Il Quotidiano del Molise
del  17/06/2012

di Paolo Giordano


La sera del 7 giugno 2012, nella suggestiva ambientazione della storica piazzetta Iapoce, complice una gradevole serata di inizio estate, si è inaugurato il ciclo di conferenze a corredo della mostra “I Colori delle Emozioni”, ospitata in Palazzo Pistilli a Campobasso. Dopo i saluti del direttore regionale per i Beni Culturali Gino Famiglietti, del presidente della Provincia Rosario de Matteis e del Soprintendente Daniele Ferrara, protagonista è stato Michele Praitano, dentista di professione, storico, artista e collezionista per vocazione. Il dott Michele ha piacevolmente narrato della “Nascita di una collezione” ripercorrendo i circa 50 anni in cui ha raccolto i capolavori, oggi donati alla collettività, viaggiando per l’Italia, incontrando antiquari da cui acquistare ed artisti a cui commissionare. Tante le storie! Dalle scoperte di firme importanti sotto vecchie cornici all’autoritratto pagato con una dentiera. Dall’emozione provata nel toccare, nel caveau di una banca a Torino, l’autoritratto di Leonardo da Vinci all’aver nascosto, arrotolandole in un giornale, due “scene di battaglia” del XVIII, per celare all’adorata moglie un suo ennesimo “folle” acquisto. Epici gli incontri con Gigino e Lorenzo, i due fornitori “a domicilio” di opere, come la “Suonatrice di chitarra” di Gaetano Esposito, pagato negli anni ’70 un decimo del suo valore e che riporta alla memoria il brutto incidente stradale del 1972. Oltremodo ilare l’arresto di Silvestro Pistolesi, allievo di Annigoni, prelevato dalla polizia di Campobasso poiché si aggirava con mantello e cappellaccio in città. Il Praitano, che l’aveva invitato in Molise, dovette scagionarlo. Decine gli incontri! Tredicenne rimase seduto per ore nella campagna di Castelbottaccio, accanto ad Arnaldo De Lisio, che dipingeva con il cavalletto en plein air. 
"La strega" di Annigoni
Anni dopo vide “La Strega” su di una rivista, ed allora volle conoscere Annigoni, che incontrò a Firenze. Fu, poi, un’esposizione sui generis, nel pastificio Guacci di Campobasso, a spingerlo sulle tracce di Clemente Tafuri. Il maestro doveva essere a Salerno, dove Praitano si era recato con lo zio Ottavio Eliseo. Tafuri, invece, viveva da tempo a Genova. Giunti dunque in Liguria dovettero attendere il tramonto poiché, su una mattonella di Vietri, all’ingresso della villa era scritto “Al visitatore… sei benvenuto al calar del sole”. Qui, trattando con la di lui moglie napoletana, ben lieta dell’incontro con dei conterranei, riuscì a comprare un autoritratto del coniuge a lei dedicato: “Ad Anna la sceicca, dallo sceicco Clemente”. Un altro “colpaccio” fu l’acquisizione del ritratto di Paolo Diodati, di Giacomo Grosso. Lo ottenne, con un piccolo “misfatto”, dalla vedova di Tito Diodati (figlio di Paolo) esperto d’arte, primo storico fornitore napoletano del Nostro, “millantando” una trattativa in corso.
autoritratto di
Clemente Tafuri
Iniziatore, compagno e mentore fu da sempre Giuseppe Ottavio Eliseo, altro grande collezionista, la cui raccolta è di proprietà della Provincia. Egli guidò il nipote Michelino lungo la via del collezionismo borghese. A sua volta era stato affascinato ed ispirato da Giuseppe Barone, fondatore del Museo di Baranello. Tutte personalità animate dallo spirito degli Umanisti, che nel Rinascimento donarono i loro beni alla collettività, trasmettendo, con alto senso civico, amore per la cultura e passione per l’arte. E proprio nel rispetto del collezionismo borghese Palazzo Pistilli verrà con il tempo arricchito da mobilio d’epoca che doni anima all’ambiente, rendendolo ancor più vicino a quello delle case ottocentesche campobassane. L’obiettivo principale è la conoscenza del nostro passato attraverso un percorso che dal barocco arriva ai nostri giorni. Solo così, recuperando la nostra identità e la coscienza della ricchezza culturale, storica ed artistica del territorio, sarà possibile costruire il Futuro. “I Colori delle Emozioni” è un “corso di storia dell’arte” che permetterà di “uscire al mondo” con idee chiare su cultura e movimenti artistici. Poi, se questa mostra concorrerà anche ad uno sviluppo turistico… ben venga. Il Molise non teme confronti, disponendo di risorse ed attrazioni… dal paleolitico all’arte contemporanea.


Programma conferenze - giugno 2012 - Piazzetta Japoce a Campobasso

Nell’ambito dell’apertura, 30 maggio 2012, dello Spazio Museale ubicato in Palazzo Pistilli e destinato all’esposizione della mostra I Colori delle Emozioni. Il Collezionismo di Giuseppe Ottavio Eliseo e Michele Praitano per Campobasso e il Molise, la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise promuove un ciclo di conferenze aventi per tema la pittura molisana e i suoi riflessi nell’ambito internazionale.



Programma Conferenze – Giugno 2012


Campobasso, Piazzetta Japoce – ore 21.00



7  giugno 
Indirizzi di saluto
Gino Famiglietti, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise
Rosario De Matteis, Presidente della Provincia di Campobasso
Gino Di Bartolomeo, Sindaco della città di Campobasso
Daniele Ferrara, Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise
Nascita di una collezione
Michele Praitano, storico e collezionista, Campobasso



8 giugno 
Pittori molisani tra Otto e Novecento
Dante Gentile Lorusso, restauratore e storico, Toro (CB)

13 giugno 
Il Paesaggio dipinto  fra Otto e Novecento
Lorenzo Canova, Università degli Studi del Molise

 14 giugno 
Opere di pittori italiani a Parigi nelle collezioni Eliseo e Praitano
Olga Scotto di Vettimo, storica dell’arte, Napoli

20 giugno 
“Only Connect…”. Pittori, ritratti  e dinamiche dello sguardo
Matilde Amaturo, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma

21 giugno 
Esplorando la Collezione Eliseo
Dora Catalano, Soprintendenza BSAE del Lazio

27 giugno
Il  “caso”  Charles Moulin. Un pittore tra Parigi, Roma e Castelnuovo 
Tommaso Evangelista, critico e storico dell’arte, Isernia

Info: Soprintendenza per i  Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Molise, Salita San Bartolomeo 10, Campobasso – Tel. 0874.431350 / 56; fax 0874.431351;  sbsae-mol@beniculturali.it

Resi fruibili "I COLORI DELLE EMOZIONI". Inaugurati gli spazi espositivi di Palazzo Pistilli in Campobasso con la Mostra "I Colori delle Emozioni. Il Collezionismo di Giuseppe Ottavio Eliseo e Michele Praitano per Campobasso e il Molise"


Il Quotidiano del Molise
del 17/06/201
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di Paolo Giordano




il dott. Michele Praitano
ed il soprintendente
 Daniele Ferrara
Immediatamente, dopo aver varcato l’ingresso di Palazzo Pistilli, si comprende quanto a volte poco basti per un evento… epocale! Già trent’anni fa (tanto indietro va la nostra memoria) il dott. Michele Praitano si crucciava di non trovare riscontri al desiderio di donare la sua pinacoteca, una vasta collezione arricchitasi ulteriormente negli ultimi decenni, che si voleva, però, restasse nel Capoluogo molisano. Con la nascita della Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici ecco finalmente il giusto interlocutore! Pietra miliare, per realizzare il sogno di una Città della Cultura, è la mostra “I colori delle emozioni, il collezionismo di Eliseo e Praitano per Campobasso e per il Molise”, in cui sono esposti 55 capolavori tra quelli della donazione Praitano e quelli della “Eliseo”, proprietà dell’Amministrazione Provinciale, prezioso partner in quest’occasione. Il nuovo spazio museale sarà aperto tutti i giorni (tranne il sabato), domeniche incluse, grazie alla disponibilità ed allo spirito collaborativo del personale MiBAC. Non necessitano quindi Grandi, a volte Inutilizzati, Locali, ma bisogna voler veramente raggiungere traguardi concreti. E’ un museo d’ambiente che ricorda una casa borghese, classe sociale di cui esalta appunto la vocazione al collezionismo. Si è solo alla prima fase di un progetto che prevede l’ampliamento in locali sottostanti. Il percorso della Mostra è suddiviso in 4 macrosezioni contenenti una selezione delle raccolte dei due ricercatori. Si inizia evidenziando l’attenzione verso la pittura napoletana ed italiana a partire dal Barocco, quando Napoli era un laboratorio artistico di primaria importanza europea, fino al Contemporaneo: dalla scuola di Luca Giordano a Trivisonno, Scarano ed Annigoni.
Gli artisti italiani, e quindi molisani, furono attratti dal dinamismo culturale parigino e dal mercato d’oltralpe. Sulla Senna era possibile eseguire ricerche artistiche che, pur nella varietà delle interpretazioni, avevano come costante caratteristica l’immersione nella realtà. L’avvicinamento al vero, la raffigurazione di una Natura lontana dalle idealizzazioni del paesaggio classico, emerge dalle vedute, dalle nature morte, dalle scene di vita contadina e borghese esposte nelle sale di salita San Bartolomeo. In Francia il processo culminò con l’impressionismo (a Campobasso Ragione e Scoppetta), mentre per gli italiani si avviò una ricerca dell’identità individuale (affermazione della propria poetica) e collettiva (la formazione della coscienza unitaria nazionale del giovane Stato). Particolare l’esperienza in controtendenza di Charles Moulin che dalla Francia trovò ragione d’essere a Castelnuovo al Volturno. Il suo volto appare nella sezione “allo specchio”, tra ritratti ed autoritratti. Ritrattistica anche nelle restanti stanze, dove “i dipinti ci guardano” tra classicità e modernità. Natura e figure sono percepite e rappresentate nella loro assolutezza, base della classicità, oppure messe in discussione e stravolte dai Moderni, che sono nell’ultimo ambiente della Mostra.
Per tutto il mese di giugno 2012, indispensabile corollario, saranno organizzate coinvolgenti conferenze attraverso le quali ci si potrà ulteriormente “impossessare” dei tesori custoditi in Palazzo Pistilli. Gli appuntamenti si terranno alle ore 21 in piazzetta Iapoce, come naturale prosieguo della mostra “I Colori delle Emozioni”.



il dott. Praitano con la
dott.ssa Vittoria Di Cera del MiBAC

giovedì 14 giugno 2012

ANNALISA CERIO: artista partecipe del suo tempo

Il Quotidiano del Molise
 del 05 febbraio 2011

 di Paolo Giordano

A distanza di poco tempo dalla mostra ospitata nella sala AxA della Palladino Company, Annalisa Cerio torna ad esporre con la "personale" L'URGENZA DELLA LUCE, nei locali del liceo Scientifico "A. Romita" di Campobasso.
La Cerio è approdata alla pittura dopo un lungo percorso artistico che l'ha vista decoratrice, ceramista e restauratrice di manufatti artigianali. Ha, quindi, acquisito un bagaglio tecnico estremamente vario. I suoi quadri sono frutto di una tecnica molto elaborata che non ammette indecisioni esecutive. Il risultato finale è un insieme di luci, ombre e mezzi toni che restituiscono con efficacia allo spettatore la realtà visiva e psicologica di ciò che è stato ritratto.
Negli ultimi anni Annalisa ha realizzato cicli pittorici a tema unico. Una pratica che le ha consentito di indagare i suoi soggetti da più punti di vista  ed il cui obiettivo è "quello di individuare un possibile equilibrio spaziale... La nascita e l'evoluzione di un ciclo richiedono tempi lunghi, con fasi progettuali, verifiche sperimentali. Possono avvenire ripensamenti radicali o sedimentazioni incoscienti. Talvolta si realizzano opere che, pur non essendo pienamente all'interno del ciclo, ne testimoniano il travaglio ed hanno una loro autonoma valenza estetica. In ogni ciclo è possibile rilevare componenti che giungono dalle precedenti ricerche. Attraverso metamorfosi che, pur non essendo esplicitate, mantengono ed alimentano contiguità e continuità" (Ernesto Saquela).
Uno dei suoi cicli, "La processione di Sant'Andrea - Immagini di una festa", è dedicato al culto del Santo che salvò Amalfi dall'attacco del corsaro Ariadeno Barbarossa. Le 15 tavole sono state esposte in una mostra monotematica proprio ad Amalfi nel 2009. Il poliedrico Antonio Porpora Anastasio, profondo conoscitore dell'opera di Annalisa Cerio, esalta -tra l'altro- l'abilità con cui sono stati fissati momenti ed atmosfere che sfuggono agli amalfitani stessi. L'autrice inoltre ha conseguito "raggiungimenti estetici che fanno sperare in un ritorno allo "spirito" dopo tanti anni di inutile commento al "concetto", estetico o "sociale", condotto oramai a stanchezza dai numerosi "atrienses" dell'arte e del suo così detto sistema. E' molto importante poter riaffermare la sublime astrazione dell'arte visiva di genere figurativo, che ritorna trionfante dopo i tanti rigurgiti "non-rappresentativi" dei quali ha pur assimilato le umanissime istanze" (A. Porpora Anastasio).
La pittrice non ha mai fatto mistero del suo essere allieva del celebre Antonio D'Attellis. Questi, però, non solo constata con soddisfazione che la sua discepola è oramai "adulta", ma rimarca l'importanza della sua produzione nel mondo delle arti visive in cui è estremamente ridotta la presenza femminile: "poche persone possono capire l'arte; tutti ne parlano, pochi sono capaci di descriverla o capirla... guardando, osservando il lavoro di Annalisa Cerio, non trovo alcuna differenza fra l'essere artista uomo o donna. Annalisa opera e adotta una magia, così come facevano i grandi maestri: disegno introiettato per anni, domesticato mentalmente e sfornato in altro modo... ben merita Annalisa, lei occupa un nuovo spazio, una terra di nessuno dove coltivare la magia, l'arte che non trova niente in paragone se non se stessa, il piacere, il lavoro, l'essere un artista partecipe del suo tempo" (A. D'Attellis).
Sabato 5 febbraio in via Facchinetti, a partire dalle 17,30, inizierà il nuovo interessante appuntamento culturale. Il programma raffinato e coinvolgente, con pregevoli intermezzi musicali, vedrà la presenza di qualificati relatori. Le opere di Annalisa Cerio resteranno esposte fino al 9 aprile 2011.

martedì 12 giugno 2012

"Attraversamenti" di DANTE GENTILE LORUSSO: Cultura ed arte dell'ottocento molisano


Il Quotidiano del Molise
 del 12 febbraio 2011


di Paolo Giordano

Dante Gentile Lorusso è artista, restauratore, studioso, ricercatore…insomma “portatore” sano di quel virulento morbo chiamato cultura!
Dante Gentile Lorusso
Nel 1993 era nel comitato scientifico della mostra “Oratino. Pittori, scultori e botteghe artigiane tra XVII e XIX secolo”, nel 1995 ha realizzato con Maria Antonella Fusco e Riccardo Lattuada una monografia sul pittore Nicola Giuliani. Nel 2002 ha pubblicato “Uomini Virtuosi” il “caso” Oratino nella geografia culturale molisana.
Il 18 febbraio 2011, alle ore 17,00, nell’Aula Magna del Convitto Mario Pagano presenterà la sua ultima fatica editoriale: “ATTRAVERSAMENTI. Sulla cultura artistica nell’Ottocento molisano”. Una lunga indagine di ricognizione su pittori e scultori del Molise attivi nel corso del XIX secolo. Valutando la sua produzione letteraria è spontaneo pensare a lui come ad un novello Vasari, l’autore de “Le VITE dei più eccellenti pittori, scultori, architetti”.
In realtà sono solo uno di coloro che negli ultimi 15-20 anni si sono prodigati, ognuno interessandosi ad un diverso periodo storico, per salvaguardare con opportune ricerche, la memoria degli artisti che operarono nella nostra terra.
Un sintetico bilancio di questa ricerca: cosa è affiorato di poco conosciuto e di interessante?
Ho voluto studiare l’ottocento perché è un secolo totalmente trascurato dalle indagini critiche di storia dell’arte del Molise. Si parla in modo frammentario di qualche autore, ma non c’è una ricognizione completa. Non c’è mai stata su pittori scultori, artisti molisani che pur se straordinariamente interessanti sono stati completamenti dimenticati. Di molti non si conosce nulla, neanche nei loro paesi natali. Artisti di grandissimo livello caduti nell’oblio, ignorati dalla storiografia della nostra regione…dell’intero meridione. Io ho investito anni di lavoro analizzando documenti nell’archivio dell’Accademia di Napoli, consultando le schede anagrafiche dei vari studenti, i loro fascicoli personali con certificati, informazioni e testimonianze dirette dei professori. Parliamo ad esempio di Francesco Pietrantonio da Casacalenda, che andò a studiare alla fine dell’Ottocento a Brera (invece che a Napoli come si usava in quei tempi) restando poi a vivere in Lombardia. Egli  fu compagno di studi di Pellizza da Volpedo, autore del famoso dipinto “Il Quarto Stato” e di Medardo Rosso, artista che ha anticipato di mezzo secolo le soluzioni dell’informale. Eppure a Casacalenda nessuno sa chi sia. Ho rinvenuto solo una sua opera, ma ne ho segnalate diverse rintracciate dai cataloghi e dai giornali dell’epoca. Egli donò un ritratto del Re al comune di Campobasso, andato però perso. Ecco il perché dell’esigenza di delineare questo  percorso dall’inizio del 1800 fino ai primi del 1900. Ed ecco il senso del titolo “Attraversamenti”.
Ben 360 pagine dedicate solo ad artisti molisani?
Sì! Tutti questi artisti nacquero in Molise, ma la maggior parte visse ed operò a Napoli. Eccezione furono coloro che tornarono nella terra natìa per dedicarsi all’insegnamento, diffondendo la cultura artistica. Tra essi Leopoldo Grimaldi, per anni docente al Mario Pagano, ed Abele Valerio che svolse la sua attività di educatore presso un istituto professionale.
Va evidenziata la lungimiranza politica dell’epoca: l’ottanta per cento degli artisti molisani poté studiare all’Accademia delle Belle Arti di Napoli grazie ad un sussidio erogato dall’allora Provincia di Molise. Per 6-7-8 anni coloro che avevano un buon profitto ricevevano il finanziamento. Gli Amministratori, consci che nel territorio non vi era alcuna struttura idonea, selezionavano i migliori consentendo loro di frequentare la prestigiosa e potente Accademia nella Capitale del Regno. Essa era la più antica d’Europa, fondata dai Borbone a metà settecento, con una classe docente estremamente qualificata e rappresentava un importantissimo snodo per le attività culturali.
Qual è lo stato di conservazione e di fruibilità delle opere molisane dell’ottocento?
Alcune opere sono in collezioni private molisane e di fuori regione. Moltissime nei depositi di importanti Musei: Capodimonte, Galleria dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli e Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Non sono esposte e quindi potrebbero tornare in Molise in prestito, come affermano con piena disponibilità i vari sovrintendenti e direttori di museo. Ma la nostra terra non possiede un idoneo contenitore espositivo. Si potrebbero raccogliere opere di grandissima qualità ed attraverso di esse raccontare la storia della cultura artistica del Molise salvaguardando, così, la nostra identità di popolo, tutt’altro che povero ed ignorante. Si potrebbe finalmente inaugurare una Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea. Siamo l’unica regione priva di una struttura museale del genere.
Lei ha una proposta concreta?
Il contenitore ideale è quello dell’ex GIL. Esso è nel Capoluogo, al centro della città, con caratteristiche uniche, nonché con ampia disponibilità di volumi e spazi. Completerebbe egregiamente  il tutto  una  sezione sul “contemporaneo”. Allo stato attuale sembra che nei secoli successivi ai Sanniti non sia accaduto nulla… questo perché nulla racconta la Nostra Storia. Per meglio far intendere la gravità della situazione parlerei di Arturo Stagliano, nato a Guglionesi nel 1867. Fu collaboratore di Leonardo Bistolfi e realizzò, nel 1926, il Monumento ai caduti di Treviso. Un suo nipote, Flavio Brezzo, ha donato al nascente Museo di Montevarchi (AR) 5 opere di scultura, 21 disegni e tutto l’archivio fotografico. A Novembre è stata inaugurata a Treviso una mostra su questo artista ed attualmente l’evento è ospitato al Cassero di Montevarchi.
Quante donazioni potrebbero essere fatte ad una pinacoteca campobassana! Si valorizzerebbero così  le opere e gli artisti che le hanno realizzate! In tutta Italia città e Regioni si attivano per sviluppare le proprie risorse turistico culturali, mentre a Campobasso, Capoluogo di regione, nulla sembra  muoversi.
A volume concluso quali motivazioni rafforzano la convinzione che “ne valeva la pena”?
Aver avuto al possibilità di condividere con i mie corregionali informazioni e notizie che aprono nuove ed incredibili prospettive nel panorama culturale molisano. L’aver scoperto come negli amministratori del tempo ci fosse un intuito ed una capacità progettuale tutt’altro che antiquata.
C’è un capitolo nell’opera, apparentemente non in tema, in cui tratto della  più grande tradizione artigianale campobassana: l’acciaio traforato. Anche qui la Provincia, intuì l’importanza e le potenzialità di questa attività ed  istituì nel 1840 la prima Scuola di Disegno. I giovani artigiani molisani, infatti, continuavano a conseguire riconoscimenti, onorificenze  e medaglie d’oro nelle più importanti mostre nazionali ed internazionali. Campobasso era conosciuta in tutta Europa per le sue “lame”. Ve ne sono testimonianze nel Museo di Capodimonte e nell’Armeria Reale di Torino dove  sono esposte opere di Scipione Santangelo e Bartolomeo Terzano. Da noi, invece, neanche una vetrinetta che testimoni questa straordinaria ed originalissima tradizione.
Intravede una qualche “scintilla”, preludio di un incendio culturale, nel panorama politico  o semplicemente nelle attività quotidiane della società molisana?
La politica non si occupa di cultura, la politica cerca consensi! Se l’opinione pubblica manderà segnali forti, allora anche gli amministratori si porranno il problema. Tutti devono nel loro ambito e nel loro piccolo “fare pressione” perché si cambi! Da questo punto di vista sono fiducioso. Vedo fermento intorno a me, la cosi detta società civile lascia trasparire la propria sensibilità verso questi temi. E’ il più classico dei circoli virtuosi in cui si potrà realizzare anche il desiderio di tanti collezionisti che voglio donare alla collettività le importi opere di cui sono in possesso.
Un’ultima curiosità: l’immagine in copertina?
E’ un’opera giovanile di Angelo di Scetta da Civitanova del Sannio.
Si tratta della “Strage degli Innocenti” esposta in una “Biennale Borbonica”, ovviamente prima dell’unità d’Italia. Il di Scetta  vinse il “pensionato artistico” per potersi recare a Roma al fine di perfezionare la sua preparazione. All’epoca i migliori artisti venivano inviati nella Città Eterna finanziati dall’Accademia di Napoli. Le dimensioni della tela sono considerevoli circa 2 metri per 3 ed è conservata nei depositi dell’Accademia, ovviamente bisognosa di restauro.
Dovremmo meditare attentamente su che visione ampia e proiettata oltre gli angusti confini territoriali avessero i nostri Padri.
La mia speranza è di poter ammirare questo capolavoro stabilmente esposto nel locali della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Campobasso.



L'intervista è consultabile  anche dal sito TORO WEB


Giuseppe Antonio Folchi: artista poliedrico, padre e marito premuroso, "ucciso" a soli 51 anni da una banale caduta sulla neve. La città di Campobasso lentamente ne riscopre la genialità



Il Quotidiano del Molise
del 28/03/2012


di Paolo Giordano



Folchi ai tempi
del Futurblocco
La straordinaria nevicata di febbraio è oramai lontana. Anche gli ultimi residui nei campi sono scomparsi e restano solo rare vette imbiancate in lontananza. Si sono sciolti al sole anche i disagi e le paure per i pericoli legati alla neve che nell’immaginario collettivo è tornata ad essere candida, soffice e “buona”. Eppure il 17 marzo di ogni anno si rinnova un dolore indelebile: un’infida lastra di ghiaccio provocò la caduta che fu causa della morte prematura, a soli 51 anni, di Giuseppe Folchi, poliedrico genio che ancora tanto poteva donare alla sua Terra. Egli lasciò orfani i suoi 4 figli ai quali trasmise comunque nel D.N.A. un’inconfutabile vocazione artistica. Non è possibile “inquadrare” le peculiarità di Giuseppe Antonio. Egli fu pittore, fotografo, cineasta, giornalista, incisore, attore e, soprattutto, marito e padre. Casa Folchi in via Trieste, che fu un autentico cenacolo culturale, da sempre è un’esplosione di vita, di gioia, di persone indaffarate nelle più svariate attività. Anche questo modus vivendi è stato ereditato da quell’animo irrequieto, creativo e sognatore in continua ricerca e sperimentazione. Accoglienza, disponibilità ed amicizia albergano oggi, come allora, in quella villetta divenuta molto più triste da quando è scomparsa, quasi novantenne, l’indimenticabile mamma Colomba, affettuosa ed ospitale donna d’altri tempi.
nebbia mattutina
A tentare una sintesi… Folchi nacque pittore. Scoprì questa sua vocazione grazie ad una tavolozza con pennelli e colori regalatagli da Romeo Musa del cui figlio era fraterno amico. Oltre ad Arnaldo (Musa) ebbe come complici delle sue avventure artistiche Edmondo Pasquale, Ennio De Felice ed Antonio Trombetta. Agli inizi degli anni trenta del ‘900, insieme ai suoi, aderì al Futurblocco, un circolo di futuristi con cui partecipò alla mostra voluta da Marinetti nel 1933 a Roma. L’amore per la pittura fu una costante del Folchi che riportò nei quadri le sue passioni, le escursioni in montagna, lo sci, le passeggiate “en plein air”, affascinando –così– l’osservatore che spesso viene coinvolto in sensazioni di tristezza attraverso la trasposizione su tela della sua ricca interiorità. In Molise, in Italia e nel mondo organizzò e partecipò a svariate esposizioni che ospitarono importanti e famosi artisti locali e nazionali da Trivisonno a Guttuso.
verso le nuvole
Se il Musa fu per lui la Pittura Trombetta fu la Fotografia! Alfredo Trombetta incoraggiò con convinzione Peppe a cimentarsi in questa disciplina. Anche qui egli predilesse la Natura inserendo raramente l’essere umano. I paesaggi fotografati sono un costane omaggio alla sua Regione. Ovviamente non si limitò a “scattare” poiché allestì in casa un piccolo laboratorio per lo sviluppo condividendo con i figli quell’affascinante rito. Il Folchi fotografo si ritrovò senza accorgersene cineasta in un passaggio evolutivo quasi naturale. Ancora “complici” il Pasquale ed il De Felice, co-fondatori del “Cinegruppo” del Molise: esperienza sperimentale, preludio di ben altri successivi traguardi, in cui furono coinvolti oltre a giovani appassionati anche personalità del calibro di Ugo Tiberio, padre del radiotelemetro (prototipo del radar), che fu tra i soci onorari. Attraverso il “Cinegruppo”, oltre ad acquisire sempre maggiori competenze nel settore, ebbe modo di entrare in contatto con importanti esponenti del Cinema. Iniziò a frequentare Cinecittà vivendo tra Roma e Campobasso. Nei suoi rientri in Molise portò spesso con sé degli ospiti tra cui Germi, Ponteconvo e Scola. Fu proprio Pietro Germi, innamorato della piccola regione, a convincere Ferdinando Baldi affinché girasse un film in Molise. Per Folchi dopo tantissimi cortometraggi e documentari di ottima qualità iniziò una nuova sfida. Nel 1951 nell’area matesina tra Guardiaregia, San Polo Matese e Bojano, con la partecipazione degli abitanti del posto quali comparse, fu realizzato il primo film interamente “molisano”. 
ciak si gira!
Giuseppe ne fu sceneggiatore ed assistente alla regia. “Il prezzo dell’onore” con Maria Frau e Vincenzo Musolino malgrado il successo segnò, però, l’addio alla cinepresa dell’eclettico artista. I doveri di padre e marito lo costrinsero a ben altri ritmi, per cui da allora in poi limitò il suo estro a giornalismo e xilografia, oltre chiaramente alla pittura. Restò comunque sempre attivo nell’organizzazione di eventi culturali. Ogni volta che si “pensava” una manifestazione era impossibile non ricorre alla sua esperienza ed alla sua inventiva.
Nel marzo 1962 lo uccise una “banale caduta”. Eppure si era rialzato come se nulla fosse, ma nelle ore successive furono letali le conseguenze del colpo al capo. La sua Città gli ha, per ora, solo intitolato una strada periferica ed a ben riflettere è andata meglio che a tanti altri.
Questo excursus non vuole, e non può, essere un “trattato” su un personaggio tutto da indagare e studiare. Il desiderio è quello di suscitare curiosità e per raggiungere tale scopo si confida in un’importante alleata. Lina Wertmuller, che fu sua amica e collega, è riuscita a coglierne appieno l’immenso spessore umano e professionale: “Giuseppe non era uno sgomitatore, era un artista, un poeta, un padre affettuoso, un amico disinteressato, un pittore che arrivò al cinema dopo varie esperienze che documentò nei suoi lavori, rendendoli testimonianze del suo tempo e della sua anima.”


 Lina Wertmuller
paesaggio


visione autunnale

gioco di neve a villa dei Cannoni
(Campobasso)




































venerdì 8 giugno 2012

Paolo Saverio Di Zinno, un geniale inventore artefice del “Bello” - La realizzazione dell’altare di Santa Maria della Croce a Campobasso in un lavoro di ricerca curato da Nicola Felice e Riccardo Lattuada



Paolo Saverio Di Zinno, un geniale inventore artefice del “Bello”

La realizzazione dell’altare di Santa Maria della Croce a Campobasso in un lavoro di ricerca curato da Nicola Felice e Riccardo Lattuada

Il Punto
numero 2
del 01/06/2012
di Paolo Giordano

Il ritrovamento di un prezioso documento notarile da parte di Nicola Felice ha consentito di indagare un aspetto ancora ignoto del geniale Paolo Saverio Di Zinno, principalmente rinomato per le sue sculture e per i Misteri del Corpus Domini. Cresciuto artisticamente a Napoli ebbe modo di acquisire conoscenza e consapevolezza delle qualità tecniche ed espressive dei suoi “colleghi”. Questa sua formazione gli permise di ricoprire con successo il ruolo di consulente e perito per committenze di opere richieste ad altri artisti. In Questa sua veste, oltre che in qualità di Governatore (con Nicola Presutto) della Congregazione di Santa Maria, curò la realizzazione del grande altare Maggiore nella chiesa di Santa Maria della Croce in Campobasso (1760).
Tempi, costi e modalità vennero dettagliatamente stabiliti unitamente ai materiali da impiegare, la cui specificazione serviva a garantire che qualità e costi finali fossero conformi agli accordi iniziali. Mancando invece precisazioni sulla loro provenienza, se ne faceva ricadere la responsabilità sul marmorario ovvero Antonio Pelliccia da Napoli. Questi rispettando appieno gli impegni, sicuramente su precise indicazioni del Di Zinno, predilesse alla preziosità delle pietre una maggiore ricchezza nello sviluppo architettonico. Un altro Pelliccia, Paolo, forse un parente, fu autore di un altare in Sant’Antonio Abate. Ciò fa supporre che queste maestranze napoletane, di origine carrarese, abbiano operato molto a Campobasso. Questo secondo manufatto realizzato tra il 1759 ed il 1764 è antecedente a quello di Santa Maria e ne ricorda i decori pur se semplificati. Era in voga, infatti, l’uso di riprendere motivi, partizioni e composizioni di altre opere proprie o di altri autori. Non era un copiare, bensì il seguire una logica combinatoria “di base” integrando nuove soluzioni con parti di disegni già realizzate altrove. Un’importantissima peculiarità del monumentale altare di Santa Maria sono le due portelle laterali, una soluzione non particolarmente diffusa nel sud Italia. Un’ipotesi è quella della valorizzazione scenica della liturgia. Sicuramente nella chiesa campobassana, non particolarmente ricca, attraverso tale soluzione architettonica si conferiva sfarzo ad un ambiente abbastanza amorfo: lo spazio venne occupato da un fondale scenografico che avrebbe sottolineato i movimenti e le gestualità del celebrante. Ecco, quindi, trasposta in questo lavoro tutta la genialità del Di Zinno, il suo amore per il “movimento, anche perché dalla fine del ‘500 fino a tutto il XVIII secolo vi fu un uso integrato e simultaneo di musica, luci e persino di “macchine” scenografiche all’interno della liturgia. Le due porte alludono, inoltre, ad un arco di trionfo con al centro il tabernacolo, il tutto reso ancora più “osannante” da colori, decori e statue armoniosamente inserite nel contesto. La complessità compositiva testimonia anche la particolare fase in cui le committenze si spostarono dalla capitale verso le province ed è qui che, mentre a Napoli il mercato ristagnava, le richieste si fecero sempre più elevate ed esigenti. Il Pelliccia dal Molise scese verso la Puglia, lo si “ritrova” nella cattedrale di Taranto ed in quella di Bitonto. Sarebbe a questo punto interessante appurare se anche Paolo Saverio sia intervenuto altrove come progettista, consulente e perito. Purtroppo, incredibilmente, un genio del suo stampo è oggi ancora quasi del tutto sconosciuto al di fuori dei confini regionali. Gran parte della responsabilità è forse dei suoi conterranei che non sembra lo abbiano in giusta considerazione. Una prova? Campobasso ancora non gli ha intitolato una piazza, una via, una viuzza, una rotonda… un misero slargo.

(Si ringrazia la dottoressa Vittoria Di Cera, della Soprintendenza Storico Artistica, per l’amichevole consulenza)